Nei principali manuali diagnostici utilizzati dai clinici della salute mentale l’Anoressia Nervosa viene classificata come un disturbo dell’alimentazione e della nutrizione o del comportamento alimentare. Questa modalità di categorizzazione ha importanti risvolti per quanto concerne il tipo di trattamento necessario per curarla.
Secondo le linee guida per il trattamento di persone con Disturbo dell’Alimentazione e della Nutrizione dell’American Psychiatric Association (APA, 2012) sono tre i livelli d’intervento per l’Anoressia (AN): la riabilitazione nutrizionale, l’intervento medico e quello psicosociale.
Lo scopo dei primi due livelli è quello di correggere il peso e il comportamento alimentare. Invece, nel terzo si dovrebbero curare quei sintomi che non sono direttamente correlati all’alimentazione come ad esempio la paura, l’evitamento e la distorta percezione corporea.
Di conseguenza, sempre in accordo con le linee guida dell’APA, l’obiettivo dell’intervento psicosociale per i pazienti con AN dovrebbe aiutarli:
Le terapie comunemente più utilizzate, in ambito psicosociale, sono quella cognitivo-comportamentale e quella sistemico-relazionale per bambini e adolescenti: la prima concentra il proprio intervento sugli aspetti cognitivi e comportamentali disfunzionali connessi al cibo, mentre la seconda sulle criticità del sistema familiare.
L’AN è un disturbo complesso, caratterizzato da fattori genetici, fisiologici, contestuali, culturali, familiari, emotivi, relazionali, identitari e individuali, e come tale necessita di un intervento articolato su diversi livelli. Ad esempio, nessuno dei due tipi d’intervento precedentemente citati ha come target d’intervento l’immagine corporea (o schema corporeo) nonostante la letteratura la indichi essere il miglior predittore della fluttuazione dei sintomi nei disturbi alimentari, delle ricadute e del recupero a lungo termine.
Essendo quello dell’immagine corporea un costrutto complesso e multidimensionale, composto da aspetti cognitivi, concettuali, emotivi e percettivi (percezione visuo-spaziale, propriocettiva, enterocettiva e vestibolare), focalizzare l’intervento esclusivamente sul lato cognitivo-comportamentale vuol dire prendere in considerazione solamente una frazione di un costrutto così complesso. Ma, soprattutto, significa escludere forse l’aspetto più importante, ossia, l’esperienza soggettiva del proprio corpo, di sé stessi (chi sono io?) e del proprio rapporto con gli altri e con il mondo.
A sostegno della tesi che la percezione corporea abbia un ruolo centrale nell’AN alcuni studiosi sottolineano l’alta frequenza di comorbidità tra AN e il disturbo di dismorfismo corporeo (BDD – Body Dysmorphic Disorder). Quest’ultimo è stato inserito nel DSM-5 (APA, 2014) all’interno dei disturbi ossessivo-compulsivi e viene definito come una preoccupazione per uno o più difetti o imperfezioni percepiti nell’aspetto fisico che non sono osservabili o appaiono agli altri in modo lieve.
Secondo Clausen (2011) il miglior predittore per l’AN è il deficit enterocettivo, ossia della sensibilità alle condizioni fisiologiche e degli stati interni del corpo: un miglioramento delle capacità enterocettive porta a un decremento dei sintomi anoressici (Merwin, 2010).
Un altro aspetto interessante, sollevato da alcuni ricercatori, inerente al deficit della percezione corporea negli individui con AN riguarda il problema dell’integrazione dei segnali enterocettivi e propriocettivi con quelli esterocettivi, come quelli visivi: il deficit in questa integrazione potrebbe spiegare come mai i soggetti con AN vedono un’immagine distorta quando si vedono allo specchio.
Il contenuto di questa prima parte l’ho estrapolato da un articolo di Catherine Stinson il cui titolo ha attirato la mia attenzione di psicoterapeuta di formazione fenomenologica, The Absent Body in Psychiatric Diagnosis, Treatment and Research, dato che non è così scontato trovare materiale sui Disturbi dell’Alimentazione e della Nutrizione che prenda in considerazione il corpo vivo (Leib) o la corporeità, e non soltanto il corpo biologico (Korper), nella sua trattazione. All’inizio l’intenzione dell’autrice, ossia quella di prendere in considerazione la complessità di tali disturbi e di non considerarli esclusivamente per la loro inerenza all’ambito alimentare, mi sembrava interessante, se non che con il proseguire della sua analisi quest’ultima si sia focalizzata solamente sul concetto di immagine corporea da molti considerato essere uno dei pilastri su cui si strutturano questi disturbi.
Lo scopo della ricercatrice è quello di metterci al riparo dall’errore di considerare, nel loro trattamento, tali disturbi come esclusivamente connessi al comportamento alimentare, salvo poi cadere nello stesso errore che avrebbe voluto correggere, ossia escludere dall’analisi l’esperienza soggettiva dell’individuo e del proprio corpo nel rapporto con l’altro e con il mondo.
Quest’ultima considerazione assume la sua importanza alla luce del fatto che per riuscire a rendere conto dell’insorgenza e del mantenimento delle diverse patologie dell’alimentazione, appare necessario ricercare il nucleo patologico nel vissuto stesso dei pazienti, con specifico riferimento alle peculiari modalità corporeo-esperienziali che questi adottano per mantenere un adeguato senso di stabilità personale (Liccione D., 2011-2019, pp. 217).
Ad esempio, per chi soffre di AN, la cui esperienza è caratterizzata dalla costante sensazione di essere affamati, il corpo gioca un ruolo cruciale nel mantenere il senso di stabilità personale, invece per chi soffre di Bulimia Nervosa o di Binge-eating Disorder, la cui esperienza è caratterizzata dal bisogno di essere approvati dagli altri, il corpo da una parte aderisce, idealmente, a un parametro impersonale di adeguatezza estetica per favorire una co-percezione positiva di sé, dall’altra, al posto della persona nella sua interezza, come bersaglio dell’eventuale giudizio negativo da parte degli altri (Ibidem).
Nel trattamento dei disturbi alimentari esistono diversi modelli teorici e interventi che enfatizzano e indirizzano il loro focus sul ruolo della regolazione emotiva in questo tipo di disturbi.
In letteratura, diversi autori, hanno rilevato come individui affetti da Anoressia Nervosa o Bulimia Nervosa mostrino dei deficit nella regolazione degli stati emotivi (Svaldi e coll., 2010). Secondo Haynos e coll. (2014), i deficit nella regolazione delle emozioni potrebbero essere un tratto stabile di tali individui e, anche, potenzialmente un fattore di rischio/predisposizione. Nello specifico, gli individui con AN, mostrano deficit:
In situazioni di stress presentano difficoltà nell’inibire il comportamento impulsivo e a mantenerlo orientato allo scopo. Sono particolarmente sensibili alle punizioni e hanno la tendenza a evitare le situazioni a forte coinvolgimento emotivo. Un altro fattore chiave riguarda la loro labilità affettiva e il ruolo giocato dagli affetti negativi: un loro aumento sembra predire la probabilità di diete restrittive oltre che precedere, di solito, una varietà di disturbi alimentari.
L’espressività emotiva, sembra essere caratterizzata da soppressione e riduzione (Danner e coll., 2014).
Anche gli individui con BN mostrano una generale difficoltà nella regolazione emotiva. Non vi sono significative differenze tra loro e i soggetti con AN per quanto riguarda il controllo del comportamento in situazioni di forte stress. I deficit riguardano la capacità di descrivere e identificare gli stati emotivi, la consapevolezza emotiva e la non accettazione delle emozioni. Anche loro, come per chi soffre di AN, è elevata la sensibilità alla punizione ed è presente un forte evitamento di quelle situazioni a forte contenuto emotivo negativo.
J.M. Lavender e coll. (2015), basandosi sul modello multidimensionale di Gratz e Roemer (2004), hanno condotto una revisione della letteratura riguardante il ruolo della regolazione emotiva nei disturbi alimentari,. Tale modello si compone di 4 dimensioni:
Dall’analisi degli autori, in riferimento al modello di Gratz e Roemer, emerge che, sia per l’AN che per la BN, gli individui mostrano una generale difficoltà nella regolazione degli stati affettivi, un limitato repertorio delle capacità di regolazione emotiva e la tendenza a utilizzare un maggior numero di abilità mal adattive.
Un altro aspetto caratteristico riguarda la ridotta capacità di tollerare le emozioni negative: durante i periodi di forte sofferenza aumentano le difficoltà nel controllo del comportamento alimentare.
È emersa inoltre la presenza di una ridotta consapevolezza emotiva e una maggiore difficoltà nell’accettare e/o sopprimere le emozioni: gli individui con AN mostrano deficit nell’abilità di riconoscimento delle emozioni altrui, in particolare rispetto a quelle complesse, e deficit nelle capacità di descrivere e identificare gli stati emotivi. Invece, gli individui con BN differiscono da quelli con AN, sostanzialmente nell’elevato ricorso alla soppressione e non accettazione delle emozioni. infine, si riscontra come sia per l’AN che per la BN vi sia un’elevata sensibilità alla punizione e all’evitamento, mentre differiscono per la sensibilità alla ricompensa e alla ricerca di novità, che sono presenti maggiormente negli individui con BN.
In conclusione, sia l’AN che la BN sono caratterizzate da un deficit nella regolazione emotiva. Per entrambi i disturbi sono interessate alcune dimensioni quali la non accettazione delle emozioni, l’elevata sensibilità alla punizione, l’evitamento della sofferenza e differenze in altre come i deficit nel riconoscimento delle emozioni negli altri e la sensibilità alla ricompensa. Inoltre, risulta che un maggior livello di disregolazione emotiva sia associato a una maggiore severità dei disturbi.
Link di approfondimento di colleghi psicologi
http://www.bertoncinipsicologa.it/disturbi-trattati/#tab-id-https://www.centroreginagiovanna.it/crg15/news_detail.php?ID=449
L’Anoressia Nervosa fa parte dei Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione (DSM-5), al cui interno rientrano quei disturbi caratterizzati da un persistente disturbo dell’alimentazione oppure da comportamenti inerenti l’alimentazione che hanno come risultato un alterato consumo o assorbimento di cibo e che compromettono significativamente la salute fisica o il funzionamento psicosociale.
Sempre secondo il DSM-5 sarebbero tre le caratteristiche principali che contraddistinguerebbero l’anoressia nervosa: una persistente restrizione nell’assunzione di calorie; intensa paura di aumentare di peso o di diventare grassi, oppure un comportamento persistente che interferisce con l’aumento di peso; presenza di una significativa alterazione della percezione di sé relativa al peso e alla forma del corpo.
L’intensa paura di aumentare di peso e la distorta percezione dell’immagine corporea, che caratterizzano questo disturbo, motivano a seguire diete molto restrittive e a mettere in atto comportamenti finalizzati alla perdita di peso, come un’eccessiva attività fisica, o condotte di eliminazione (vomito autoindotto) che mettono in serio pericolo la salute fisica e la vita dell’individuo. Questa patologia è associata al più alto tasso di mortalità fra tutti i disturbi mentali (S. Zipfel, K. E Giel e coll., 2015).
Gli individui affetti da anoressia nervosa possono lamentare, in fase acuta, affaticamento, vertigini e transitoria perdita di coscienza associata ad alterazioni circolatorie e respiratorie.
Alle morbilità fisiche si associano anche quelle psicosociali. Possono infatti risultare disturbate le funzioni cognitive, il vissuto emotivo e le relazioni sociali. All’incirca il 75% delle persone affette da anoressia nervosa riporta disturbi dell’umore, nella maggior parte dei casi di ordine depressivo: umore depresso, ritiro sociale, irritabilità, insonnia e diminuito interesse sessuale. Spesso sono presenti manifestazioni ossessivo-compulsive correlate o meno al cibo (collezioni di ricette o ammasso di cibarie); possono fare abuso di alcol, essere soggetti a dipendenze o presentare una storia di disturbi d’ansia che ha preceduto l’insorgere del disturbo.
Altre caratteristiche associate all’anoressia nervosa comprendono preoccupazione nel mangiare in pubblico, sentimenti di inadeguatezza, un forte desiderio di tenere sottocontrollo l’ambiente circostante, rigidità mentale, impulsività, ridotta spontaneità sociale ed espressività emotiva eccessivamente repressa.
I fattori di rischio per l’insorgenza e il mantenimento dell’anoressia riguardano i fattori genetici, psicosociali e personali. Individui di ogni età, sesso, orientamento sessuale, razza ed etnia possono esserne affetti. Tuttavia, adolescenti e giovani adulti di sesso femminile sono i soggetti più a rischio. L’età d’insorgenza risulta essere un fattore chiave nel determinare la gravità e la cronicità del decorso del disturbo. L’anoressia comunemente inizia durante l’adolescenza o nella prima età adulta e più raramente prima della pubertà o nell’età adulta. Nel primo caso, se sottoposta a trattamento, la persona ha maggiori possibilità di guarigione.
Altri fattori di rischio riguardano: difficoltà nei processi neurocognitivi e socio-emozionali fin dalla giovane età; difficoltà nel riconoscimento, nell’espressività e nella regolazione delle emozioni; disturbi dell’attenzione; esperienze traumatiche o stressanti nelle fasi di passaggio dello sviluppo; il genere femminile: la prevalenza, nella popolazione clinica, riflette approssitivamente un rapporto femmina:maschio di 10:1 (DSM-5).
Kaye e coll. suggeriscono inoltre che alcuni tratti temperamentali e di personalità dell’infanzia, come ansia, ossessioni, depressione e perfezionismo possano riflettere fattori di rischio per lo sviluppo dell’anoressia.
L’importanza dell’accesso al trattamento è dimostrata dagli studi che, da una parte, hanno riportato come il 50% delle persone con anoressia nervosa non vi abbia accesso e, dall’altra, che il 40% di quelle che vi si sottopongono mostra un recupero completo. Da una metanalisi di Steinhausen e coll. è emerso che, all’incirca, nel 60% dei casi gli individui con anoressia mostrano una normalizzazione del peso e del ciclo mestruale, e il 46% del comportamento alimentare. Un accesso precoce al trattamento permette un decorso migliore. Secondo alcuni studi esiste infatti una finestra di tempo, i primi tre anni, dopo i quali la guarigione risulta più difficile da raggiungere comportando gravi rischi per la salute psicofisica della persona.
L’inizio del trattamento prevede un’intervista dettagliata, un esame fisico, la valutazione della gravità e della natura dei sintomi, delle patologie fisiche e psicologiche associate, della motivazione al trattamento e dei supporti attivabili.
Il trattamento basato sulla combinazione tra intervento medico e psicoterapeutico risulta essere più efficace rispetto a quelli farmacologici o nutrizionali.
L’anoressia nervosa impoverisce la qualità della vita delle persone e pone un gravoso peso in termini di salute, di stress, emotivi ed economici sull’individuo, sulla famiglia e sulla società. L’intervento precoce e che utilizza un approccio multiprofessionale (ad es. medico, psicoterapeutico, familiare, educativo) è quello che al momento sembra offrire i migliori risultati. Infatti, anche gli interventi basati sulla prevenzione, da una parte migliorano le conoscenze sui disturbi alimentari, ma dall’altra ottengono piccoli effetti sulla riduzione dei fattori di rischio, del cambiamento di abitudini e sulla riduzione delle patologie alimentari. Tuttavia, vi è un esteso accordo che rimangono diverse sfide nella cura dell’anoressia e nuovi tipi d’intervento sono necessari per migliorare i risultati, soprattutto negli adulti (S. Zipfel, K. E Giel e coll., 2015).