La quarantena è un periodo di segregazione e restrizione del movimento, di conseguenza della libertà, delle persone potenzialmente esposte a una malattia infettiva che ha lo scopo di accertare se tali individui si ammalano e di ridurre il rischio di contagio. La separazione dai propri cari, l’isolamento, la perdita di libertà, l’incertezza sullo stato di malattia, la noia, ecc., fanno della quarantena un’esperienza che mette a dura prova la propria stabilità personale. L’attuale situazione, causata dal diffondersi del COVID-19, ha spinto diversi studiosi ad approfondire i possibili risvolti psicologici che una tale condizione può provocare. In uno studio, recentemente pubblicato su The Lancet, sono stati esaminati i risultati di alcuni studi effettuati in situazioni simili a quella attuale dove erano state imposte simili misure di contenimento dell’epidemia, come per la sindrome respiratoria acuta grave (SARS, 2003) o quella di Ebola nel 2014.
Da questo studio emerge che la quarantena ha importanti effetti psicologici negativi. Per il personale ospedaliero, oltre a contribuire al manifestarsi di ansia, irritabilità, insonnia e deterioramento delle prestazioni lavorative, è risultato essere il fattore più predittivo per lo sviluppo di disturbi post-traumatici da stress e/o depressivi a breve termine. Mentre, a lungo termine, potrebbe portare all’abuso di alcol, dipendenze e l’evitamento di situazioni di possibile contagio (ad es. ad evitare il contatto coi pazienti). In generale, le persone sottoposte a tale misura di contenimento tendono a manifestare paura, nervosismo, confusione, rabbia, ansia, irritabilità, insonnia, frustrazione e sintomi depressivi e/o post-traumatici da stress.
I fattori che più influiscono sugli esiti negativi della quarantena riguardano la durata, l’imposizione della riduzione di libertà, la paura per la propria salute e di infettare i propri cari, la perdita della routine, il ridotto contatto sociale e fisico, l’inadeguatezza di materiale sanitario e di prima necessità, e informazioni inadeguate rispetto alle linee guida sulle azioni da intraprendere, lo scopo della quarantena, sul livello di rischio, sul differente contenuto dei messaggi delle autorità, sia sanitarie che politiche, e sulla gravità della pandemia. Per quanto riguarda l’influenza dei fattori socio-demografici (età, genere, stato civile, grado d’istruzione, ecc.) sulla risposta psicologica alla quarantena i risultati delle varie ricerche sono contrastanti.
In conclusione, alla luce di questi risultati e allo scopo di ridurre gli effetti psicologici negativi della quarantena, gli autori consigliano:
- di fornire un’informazione chiara, rapida ed efficace al fine di far comprendere alle persone al meglio la situazione;
- di non far mancare materiale sanitario e beni di prima necessità;
- di far durare la quarantena il minor tempo necessario, ossia lo stretto indispensabile, e di non modificarne la durata se non in condizioni estreme;
- riuscire a promuovere e a far aderire gli individui a una quarantena volontaria, che rispetto a quella imposta, si associa a minor stress e complicazioni a lungo termine;
- fornire strumenti e proporre attività che riducano la noia e l’isolamento sociale che sono spesso associati a maggior frustrazione e rabbia.
Ovviamente, come per ogni ricerca di questo tipo vanno tenuti in giusta considerazione i limiti e le differenze culturali, contestuali e individuali che possono influenzare in maniera diversa le risposte a una siffatta condizione.
Brooks, S., K., et al. (2020). The psychological impact of quarantine and how to reduce it: rapid review of the evidence. The Lancet, P912-920, doi:10.1016/S0140-6736(20)30460-8