Nei principali manuali diagnostici utilizzati dai clinici della salute mentale l’Anoressia Nervosa viene classificata come un disturbo dell’alimentazione e della nutrizione o del comportamento alimentare. Questa modalità di categorizzazione ha importanti risvolti per quanto concerne il tipo di trattamento necessario per curarla.
Anoressia nervosa: livelli di intervento
Secondo le linee guida per il trattamento di persone con Disturbo dell’Alimentazione e della Nutrizione dell’American Psychiatric Association (APA, 2012) sono tre i livelli d’intervento per l’Anoressia (AN): la riabilitazione nutrizionale, l’intervento medico e quello psicosociale.
Lo scopo dei primi due livelli è quello di correggere il peso e il comportamento alimentare. Invece, nel terzo si dovrebbero curare quei sintomi che non sono direttamente correlati all’alimentazione come ad esempio la paura, l’evitamento e la distorta percezione corporea.
Di conseguenza, sempre in accordo con le linee guida dell’APA, l’obiettivo dell’intervento psicosociale per i pazienti con AN dovrebbe aiutarli:
- a) a comprendere e collaborare alla propria riabilitazione nutrizionale e fisica;
- b) a comprendere e modificare i comportamenti e gli atteggiamenti disfunzionali connessi all’alimentazione;
- c) a migliorare il proprio funzionamento interpersonale e sociale;
- d) affrontare i disturbi in comorbidità e i conflitti psicologici che mantengono o rafforzano l’AN (Yager et al., 2006).
Terapie per il trattamento dell'anoressia nervosa
Le terapie comunemente più utilizzate, in ambito psicosociale, sono quella cognitivo-comportamentale e quella sistemico-relazionale per bambini e adolescenti: la prima concentra il proprio intervento sugli aspetti cognitivi e comportamentali disfunzionali connessi al cibo, mentre la seconda sulle criticità del sistema familiare.
L’AN è un disturbo complesso, caratterizzato da fattori genetici, fisiologici, contestuali, culturali, familiari, emotivi, relazionali, identitari e individuali, e come tale necessita di un intervento articolato su diversi livelli. Ad esempio, nessuno dei due tipi d’intervento precedentemente citati ha come target d’intervento l’immagine corporea (o schema corporeo) nonostante la letteratura la indichi essere il miglior predittore della fluttuazione dei sintomi nei disturbi alimentari, delle ricadute e del recupero a lungo termine.
Anoressia nervosa e immagine corporea
Essendo quello dell’immagine corporea un costrutto complesso e multidimensionale, composto da aspetti cognitivi, concettuali, emotivi e percettivi (percezione visuo-spaziale, propriocettiva, enterocettiva e vestibolare), focalizzare l’intervento esclusivamente sul lato cognitivo-comportamentale vuol dire prendere in considerazione solamente una frazione di un costrutto così complesso. Ma, soprattutto, significa escludere forse l’aspetto più importante, ossia, l’esperienza soggettiva del proprio corpo, di sé stessi (chi sono io?) e del proprio rapporto con gli altri e con il mondo.
A sostegno della tesi che la percezione corporea abbia un ruolo centrale nell’AN alcuni studiosi sottolineano l’alta frequenza di comorbidità tra AN e il disturbo di dismorfismo corporeo (BDD – Body Dysmorphic Disorder). Quest’ultimo è stato inserito nel DSM-5 (APA, 2014) all’interno dei disturbi ossessivo-compulsivi e viene definito come una preoccupazione per uno o più difetti o imperfezioni percepiti nell’aspetto fisico che non sono osservabili o appaiono agli altri in modo lieve.
Secondo Clausen (2011) il miglior predittore per l’AN è il deficit enterocettivo, ossia della sensibilità alle condizioni fisiologiche e degli stati interni del corpo: un miglioramento delle capacità enterocettive porta a un decremento dei sintomi anoressici (Merwin, 2010).
Deficit della percezione corporea
Un altro aspetto interessante, sollevato da alcuni ricercatori, inerente al deficit della percezione corporea negli individui con AN riguarda il problema dell’integrazione dei segnali enterocettivi e propriocettivi con quelli esterocettivi, come quelli visivi: il deficit in questa integrazione potrebbe spiegare come mai i soggetti con AN vedono un’immagine distorta quando si vedono allo specchio.
Il contenuto di questa prima parte l’ho estrapolato da un articolo di Catherine Stinson il cui titolo ha attirato la mia attenzione di psicoterapeuta di formazione fenomenologica, The Absent Body in Psychiatric Diagnosis, Treatment and Research, dato che non è così scontato trovare materiale sui Disturbi dell’Alimentazione e della Nutrizione che prenda in considerazione il corpo vivo (Leib) o la corporeità, e non soltanto il corpo biologico (Korper), nella sua trattazione. All’inizio l’intenzione dell’autrice, ossia quella di prendere in considerazione la complessità di tali disturbi e di non considerarli esclusivamente per la loro inerenza all’ambito alimentare, mi sembrava interessante, se non che con il proseguire della sua analisi quest’ultima si sia focalizzata solamente sul concetto di immagine corporea da molti considerato essere uno dei pilastri su cui si strutturano questi disturbi.
Comportamento alimentare e soggetto
Lo scopo della ricercatrice è quello di metterci al riparo dall’errore di considerare, nel loro trattamento, tali disturbi come esclusivamente connessi al comportamento alimentare, salvo poi cadere nello stesso errore che avrebbe voluto correggere, ossia escludere dall’analisi l’esperienza soggettiva dell’individuo e del proprio corpo nel rapporto con l’altro e con il mondo.
Quest’ultima considerazione assume la sua importanza alla luce del fatto che per riuscire a rendere conto dell’insorgenza e del mantenimento delle diverse patologie dell’alimentazione, appare necessario ricercare il nucleo patologico nel vissuto stesso dei pazienti, con specifico riferimento alle peculiari modalità corporeo-esperienziali che questi adottano per mantenere un adeguato senso di stabilità personale (Liccione D., 2011-2019, pp. 217).
Ad esempio, per chi soffre di AN, la cui esperienza è caratterizzata dalla costante sensazione di essere affamati, il corpo gioca un ruolo cruciale nel mantenere il senso di stabilità personale, invece per chi soffre di Bulimia Nervosa o di Binge-eating Disorder, la cui esperienza è caratterizzata dal bisogno di essere approvati dagli altri, il corpo da una parte aderisce, idealmente, a un parametro impersonale di adeguatezza estetica per favorire una co-percezione positiva di sé, dall’altra, al posto della persona nella sua interezza, come bersaglio dell’eventuale giudizio negativo da parte degli altri (Ibidem).