Secondo gli ultimi dati pubblicati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), nel decennio che va dal 2005 al 2015 vi è stato un aumento dei casi di depressione pari al 18,4%, che ha portato a prevedere che per il 2020, la depressione, sarà la seconda causa di malattia, dopo quelle cardiovascolari, in tutto il mondo.
In Italia, la situazione rispecchia quella del resto del mondo: la depressione è risultata essere il disturbo mentale con la maggiore incidenza, nell’arco di vita, sul campione studiato.
Secondo la Società Italiana di Psichiatria (SIP) la depressione colpisce il 12,5% della popolazione, che corrisponde a 7,5 milioni di persone. Questo vuol dire che circa 1,5 milioni di italiani soffrono di depressione e che circa 6 milioni hanno sofferto almeno una volta, nel corso della loro vita, di un episodio depressivo.
Di questi, il 60% chiede aiuto, di solito rivolgendosi a medici, e ancor meno, solo il 29%, segue un trattamento nello stesso anno in cui insorge (Wang et al., 2007). Un altro dato allarmante riguarda il tempo che trascorre tra la comparsa dei primi sintomi e la decisione di rivolgersi a un medico (23 mesi) e quello che passa prima di ricevere una diagnosi (25,5 mesi).
Le persone maggiormente colpite sono quelle più anziane, meno istruite, che vivono da sole, che sono in difficoltà economiche, che soffrono di malattie croniche e che non hanno un lavoro regolare. Per quanto riguarda il sesso, le donne sono colpite con una prevalenza del 14,9% rispetto al 7,2% dei maschi.
L’importanza di una diagnosi tempestiva e dell’accesso al trattamento risulta ancora più evidente se si considerano le gravi ripercussioni sociali ed individuali che implica il disturbo depressivo. Infatti, è stato stimato che la spesa, in termini di ore annue lavorative perse, a causa di tale disturbo, in Italia, è di circa 4 miliardi di Euro l’anno. Invece, per la persona che ne soffre, questa malattia ha importanti conseguenze sulla vita di tutti i giorni. Generalmente, compromette il rapporto con se stessi, l’attività lavorativa o scolastica, le relazioni sociali e affettive portando al ritiro sociale e, nei casi più gravi, al suicidio.
Allo stato attuale, il trattamento first-line per la depressione è quello farmacologico: secondo l’ultimo rapporto OsMed (Osservatorio nazionale sull’impiego dei Medicinali) dell’AIFA, in Italia quasi 2,6 milioni di persone assumono farmaci antidepressivi. Sempre secondo l’AIFA, inoltre, va sottolineato che nonostante questi dati siano comunque largamente significativi, la gestione del disturbo è ancora subottimale e non raggiunge i necessari obiettivi terapeutici: la remissione dei sintomi e la prevenzione delle ricadute o recidive. È importante quindi che il clinico abbia a disposizione un armamentario terapeutico il più completo possibile, così da poter scegliere lo strumento più adatto sulla base delle specifiche esigenze del paziente.
A questo proposito, anche se con intento diverso, ossia quello di capire il ruolo dell’effetto placebo, Kirsch e coll. (2002, 2014) hanno condotto un’analisi sui dati degli esperimenti clinici sugli antidepressivi eseguiti negli Stati Uniti. Gli autori hanno concluso che gli antidepressivi di nuova generazione, gli Inibitori Selettivi della Ricaptazione della Serotonina (SSRI, ad es. il Prozac che è stato il primo SSRI a essere stato prodotto e uno dei farmaci più venduti nella storia della medicina) sono poco efficaci avendo un effetto di poco superiore al placebo. Nello specifico, Kirsch ha evidenziato che:
- il miglioramento dei pazienti dovuto al placebo era pari all’82%, e che quindi solo il restante 18% della risposta positiva era dovuto all’SSRI
- l’efficacia degli SSRI non aumenta proporzionalmente all’aumento della dose somministrata
- la stabilità della risposta al farmaco non è maggiore di quella al placebo, infatti, all’uso del farmaco seguono maggiori ricadute
Nel considerare quale trattamento adottare, vanno inoltre tenuti in debito conto gli effetti collaterali dei farmaci antidepressivi. Infatti, l’assunzione degli SSRI può portare a disfunzioni sessuali, aumento di peso nel lungo periodo, insonnia, nausea, diarrea, aumento dell’ideazione suicidaria tra i bambini e i giovani adulti e incremento del rischio di ictus o morte (Andrews, Thomson, Amstadter, & Neale, 2012; Domar, Moragianni, Ryley, & Urato, 2013; Serretti & Chiesa, 2009; in Migone, 2009); nelle donne incinta aumenta il rischio di aborto spontaneo e, se questo non avvenisse, sono maggiori le possibilità che, i loro bambini, nascono affetti da autismo, con malformazioni alla nascita, con persistente ipertensione polmonare e sindrome comportamentale neonatale (Kirsch, 2014); infine, bisogna tenere in considerazione l’ipotesi che i farmaci antidepressivi e ansiolitici possano indurre una sorta di dipendenza e predisporre a un aumento di recidive e alla cronicità (Migone, 2009).
Questi dati impongono un’attenta riflessione sul tipo di trattamento da adottare in questi casi, a maggior ragione se si considera che solo in Italia ben 28000 giovani sotto i 18 anni assumono antidepressivi (Istituto Mario Negri in Migone, 2009).
Fortunatamente, esistono diversi trattamenti per la depressione oltre ai farmaci, come la psicoterapia, il trattamento combinato (antidepressivi e psicoterapia) e trattamenti alternativi (biblioterapia, attività fisica, ecc.). Secondo le analisi di Kirsch (2014) non vi sono differenze significative in termini di miglioramento tra i diversi trattamenti, perciò conclude che “quando i diversi trattamenti sono ugualmente efficaci, la scelta dovrebbe essere basata sui rischi e la nocività, e di tutti questi trattamenti, gli antidepressivi sono i più rischiosi e pericolosi. Essi dovrebbero essere lasciati come ultima risorsa, quando la depressione è estremamente severa e tutti gli altri trattamenti sono stati provati e hanno fallito”.
Conclusione
In conclusione, considerando i risultati ottenuti da Kirsch e da altre ricerche meta-analitiche (Wexler e Nelson, 1993; Migone, 2006, Lambert, 2004), che hanno dimostrato che nella cura della depressione la psicoterapia è superiore ai farmaci e al fine di evitare i rischi implicati nell’uso degli antidepressivi, quest’ultimi, non dovrebbero essere usati come trattamento first-line nella cura della depressione.
Articolo di approfondimento psicologico
https://www.centroreginagiovanna.it/crg15/news_detail.php?ID=565